L'importante è che la morte ci colga vivi (Marcello Marchesi)

"L'importante è che la morte ci colga vivi" (Marcello Marchesi)

domenica 14 agosto 2011

MA DEL REGALO AL BERLUSKAZZ DEL BEAUTY CONTEST NON SI PARLA MAI

Digitale terrestre. Si avvicina l’ora della Toscana. Qualcuno dice a rilento, nonostante l’anticipo di sei mesi, si sta realizzando il calendario dello switch off, il passaggio alla nuova televisione, con una novità: la settimana prossima il Ministero dello Sviluppo pubblicherà i bandi per le frequenze da assegnare a Liguria, Toscana con la provincia di Viterbo, Umbria e Marche, le ultime regioni che quest’anno passeranno al digitale terrestre, mentre entro il giugno prossimo toccherà ad Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Fioccano le polemiche, naturalmente. Nelle regioni ormai digitalizzate la qualità del segnale è piuttosto scadente, specialmente in caso di maltempo. Ampi zone montane sono escluse, al governo lo sapevano ma sono andati avanti lo stesso, per le caratteristiche fisiche di trasmissione del segnale digitale, che non supera gli ostacoli. Hanno rimediato col satellite, così in montagna hanno due decoder perché Rai e Mediaset hanno costituito un sistema separato da Sky. Ma per salvare la Rete 4 di Berlusconi dalle multe dell’Europa e dalle sentenze dei tribunali e conservare l’oligopolio televisivo tutto andava bene. Le emittenti piccole, con poca capacità di investire in tecnologia, saranno costrette a un ulteriore ridimensionamento, se non a scomparire: il digitale in situazione di disturbo semplicemente non funziona E così la trasformazione tecnologica dall’analogico al digitale dell’Italia verrà ricordata come un caso clamoroso di sprechi pubblici e rafforzamento dell’oligopolio, guidata da un formalmente ex dipendente Mediaset, il ministro Romani. Che non si è fatto scrupolo, attraverso complicati regolamenti, di mettere i bastoni nelle ruote dei competitor alternativi sulla numerazione dei canali e sulle autorizzazioni ai fornitori di contenuti digitali, creando di fatto un vantaggio per le due principali aziende nazionali nel silenzio interessato di Telecom Italia Media. Già. Il settore della televisione in Italia è sempre stato un Far West. Fin dai tempi in cui Bettino Craxi (20 ottobre 1984) rientrò precipitosamente da una visita di Stato a Londra per fare di sabato mattina un decreto legge per salvare le trasmissioni Fininvest dall’oscuramento ordinato dai pretori per le violazioni della legge fatte da Berlusconi. Il passaggio al digitale terrestre lascia libere le frequenze su cui trasmetteva il segnale analogico. Queste frequenze vanno all’asta: compagnie televisive e telefoniche sono interessate. Queste ultime pagheranno allo Stato per il diritto di occuparle per i prossimi 20 anni una cifra compresa tra 2,4 e 3,1 miliardi di euro, ossigeno per il deficit italiano, mediante un asta a rilancio. Mentre le compagnie televisive, attraverso un sofisticato meccanismo “truffaldino” chiamato beauty contest, che elimina l’asta e il pagamento di denaro, le riceveranno gratis. Per il Presidente del Consiglio un regalo da 2 miliardi di euro. Ecco perché fino al 6 settembre, termine ultimo per la presentazione delle offerte  è sicuro che non si possa parlare assolutamente di un ricambio politico in Italia: Paolo Romani deve portare a casa il prezioso cadeau che consentirà in futuro a Mediaset di continuare a fare il bello e cattivo tempo sull’etere, come confermato dalla legge Gasparri del 2006 che di tutto si occupò tranne che del pluralismo dell’informazione e del libero mercato. Gratis saranno le frequenze anche per Rai e TIMedia, che infatti ben si guardano da informare sull’argomento il pubblico. Una perdita per l’erario di almeno 3 miliardi con la benedizione del garante, l’Agcom. A noi rimane solo di pagare gli abbonamenti premium per i campionati di calcio, salvo incavolature se il segnale non arriverà. Il conto della manovra economica prossima ventura sarà caricato anche dei mancati introiti delle frequenze regalate alle televisioni, probabilmente a pagare ci siamo ormai rassegnati. 

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