L'importante è che la morte ci colga vivi (Marcello Marchesi)

"L'importante è che la morte ci colga vivi" (Marcello Marchesi)

venerdì 15 marzo 2013

LA DISINFORMAZIONE AL TEMPO DI SIENA, CITTA'-BANCA

I senesi credevano di essere padroni di una banca. Arringapopolo pontificavano sulla senesità del Monte, concetto fumoso mutuato dal nazionalismo più becero per distrarre il popolo dall’essenza delle cose. Perché sopra le teste degli ignari cittadini era la politica dei partiti romani che decideva chi, come, quando e riusciva a imporre sul ponte di comando delle istituzioni locali uomini all’altezza solo di ubbidire agli ordini, yes men e passacarte. Dura da raccontare per il nostro orgoglio ma, superate le elezioni nazionali, con la ripresa in forze delle indagini della Magistratura, si arriverà piano piano a scoperchiare il pentolone della politica. Scrive il Corriere della Sera che “Nella primavera del 2009 Silvio Berlusconi organizzò riunioni ad Arcore per designare i membri del Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi in quota Pdl”. Il che significa che esistevano membri in quota Pd. Segue un elenco di nomi sconosciuti alle cronache cittadine, dal faccendiere Luigi Bisignani a tale Sergio Lupinacci, da Gianni Letta a Giulio Andreotti passando attraverso una certa “Madre Tekla, badessa generale dell'Ordine del SS. Salvatore di santa Brigida con sede a Roma, in piazza Farnese”. Il quotidiano milanese cita come fonte indagini svolte dalla magistratura di Napoli che, per la verità, indagava su collusioni tra politica e camorra in Campania, e si è trovata di fronte a una massa di intercettazioni che riguardavano Siena e MPS. Pare che il Lupinacci, non essendo poi riuscito a farsi eleggere nel CdA di Rocca Salimbeni, abbia avuto incontri con Giuseppe Mussari al fine di ottenere un posto in una società controllata dalla banca. Nella partita entrano anche gli onorevoli Pdl Angelo Pollina e Deborah Bergamini che infittiscono il sottobosco degli inciuci e attribuiscono al povero Mussari la promessa di trovare un posto al loro protetto in Fondazione (dove non arriverà, peraltro).  
Segue chiosa finale: “l'ascolto dei colloqui rivela anche «il disinteresse in merito da parte del ministro dell'Economia Giulio Tremonti». È Pollina, parlando con Lupinacci l'8 maggio 2009, a riferirgli quanto gli avrebbe raccontato Mussari nei giorni precedenti. Il contenuto della conversazione è riportato nel brogliaccio di quel giorno. Annotano i finanzieri: «Pollina precisa che il presidente del Monte dei Paschi gli ha riferito cose estremamente importanti, tra l'altro affermando che "il ministro Tremonti su Siena non ha messo bocca perché lui si è preso Unicredit"». Nella primavera del 2009 il dominus di Unicredit è ancora Alessandro Profumo, che non si deve essere accorto che sulla sua testa stia arrivando l’ex ministro dell’Economia. Ma queste intercettazioni saranno vere o solo chiacchiere di politici che cercano di darsi importanza uno con l’altro? E, all’interno della compagine sociale del Monte, chi era il socio che poteva garantire l’elezione di un esponente politico del centrodestra nel board dell’istituto? Le ricostruzioni dell’architettura del controllo politico del Monte si complicano: il foglietto senza firma che propaganda la commistione tra Ceccuzzi e Verdini voleva attribuire ad altri politici del centrodestra la capacità di incidere nell’organo di governo della Rocca.
Anche La Stampa getta benzina sulla “pax senese” tra i due schieramenti che volevano il bipolarismo in Italia: “L’accordo per la spartizione degli incarichi del Monte – scrive La Stampa – risale a circa dieci anni prima, quando l’allora sindaco Pierluigi Piccini e l’allora segretario provinciale di Forza Italia, Fabrizio Felici, strinsero un accordo per ‘allargare la rappresentanza negli organi della Fondazione’ al centrodestra. Fu così che Felici nel 2001 divenne membro della deputazione della Fondazione Mps. Mentre nel 2003, con il rinnovo del consiglio di Montepaschi, Andrea Pisaneschi entra nel consiglio di amministrazione della banca in quota Forza Italia. Nel 2008 diverrà presidente di Antonveneta, in virtù di quella stessa pax senese che garantiva posti e prebende alla politica di entrambe le sponde”.
Tutto questo deve far riflettere sugli errori commessi dall’opinione pubblica senese. E’ chiaro che chi ha la disponibilità dei soldi degli altri (come gli amministratori di una banca) tende naturalmente a prenderli per sé e i propri sodali. Lo faranno direttamente o attraverso dei prestanome che si prenderanno le colpe, dopo aver raggranellato la loro parte. Questo è successo a Siena e non solo qui. E la colpa è del nostro permissivismo, dell’incuria nel pretendere le regole e da tutti il loro rispetto. L’incompatibilità voluta dal ministro Vincenzo Visco nel 2001 che impedì a Piccini di traslocare dalla poltrona di sindaco a quella di presidente della Fondazione perché in pratica era lui che eleggeva se stesso (logico conflitto di interessi) valeva allo stesso modo per il presidente della Fondazione che traslocava in Piazza del Monte (conflitto di interessi identico). Invece tutti a ridere delle disgrazie politiche di Piccini (che da allora non se l’è passata male al Monte a Parigi) e delle diatribe interne al Pd, senza accorgersi del pessimo servizio che si faceva alla città e che convinse una classe locale dirigente di essere quasi onnipotente, con i risultati che ognuno può vedere con i suoi occhi.

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